Nessuno imane indietro M5SDati e indicatori economici di diversi istituti internazionali fotografano da tempo la stessa situazione: l'economia italiana è al palo, in fondo a tutte le principali classifiche. Se guardiamo, ad esempio, agli ultimi rapporti del Fmi e del World Economic Forum di Davos emerge l'eccezionalità della crisi del nostro Paese. Il Fmi certifica che la crescita italiana è 5 volte più lenta di quella mondiale: il Pil cresce 10 volte più lentamente di quello cinese, 2 volte più lentamente rispetto a quello francese, tedesco e britannico e più di 3 volte rispetto a quello spagnolo. Ci sono poi le classifiche del World Economic Forum, che ci vedono nel complesso al 27esimo posto su 30 Paesi avanzati.

Nel dettaglio, siamo 29esimi per quanto riguarda il comportamento etico delle aziende, 28esimi per grado di corruzione, 28esimi per indipendenza del sistema giudiziario, 29 esimi per quanto riguarda i favoritismi dei funzionari pubblici, 30esimi e ultimi per fiducia pubblica nei confronti dei politici. Peraltro lo studio del World Economic Forum afferma che gli alti livelli di povertà e disuguaglianza non sono compensati da un sistema di protezione sociale né generoso né efficiente e che persistono elevati differenziali di salario (come certificato di recente anche dal rapporto Oxfam sulla diseguaglianza). A chiudere il cerchio un altissimo rapporto debito/Pil che, senza una ripresa della crescita, condanna alla miseria le generazioni future.

Per far fronte a questo disastro è urgente e necessario un progetto economico del tutto diverso da quello messo in atto dagli ultimi Governi. Il M5S lo ha definito in questi anni: al centro del progetto c'è il reddito di cittadinanza definito in un nostro disegno di legge a prima firma Catalfo. Non si tratta di assistenzialismo ma di una misura di sostegno attivo al reddito e al reinserimento lavorativo, come dimostra il finanziamento dei centri per l'impiego (il nostro reddito costa 17 miliardi, dei quali 2,1 sono dedicati a potenziare i centri). Un argine immediato contro la povertà che avrebbe il merito anche di rinvigorire la domanda interna e i profitti delle imprese. Ne gioverebbero infine l'occupazione e il gettito fiscale.

Questo dal lato dei disoccupati e dei nuclei famigliari a basso reddito.

Ma le nostre idee si estendono naturalmente alle piccole e medie imprese, fulcro del tessuto produttivo nazionale. Innanzitutto l'abolizione totale dell'Irap sulle microimprese; poi l'abolizione (vera, e non presunta) di Equitalia, per rifondare il fisco su un rapporto di collaborazione tra agenzia delle entrate e contribuenti; importantissime anche la semplificazione burocratica, l’estensione dell'aliquota agevolata al 5 e al 15%, l'eliminazione di circa 8mila euro di contributi a carico delle start up innovative e il sostegno all’economia 4.0 (ad esempio il settore delle stampanti 3D).

Più in generale, però, il problema dell'economia italiana è la cronica insufficienza degli investimenti pubblici nelle piccole infrastrutture e nei settori strategici, in seguito all'ondata di privatizzazioni che hanno sottratto al controllo pubblico aziende storiche e di successo. È quindi fondamentale tornare a investire, rifiutando la prospettiva illusoria di un'economia rinchiusa nel turismo e nella cultura, settori importantissimi ma non sufficienti a garantire occupazione di alta qualità e sviluppo. La necessità di aumentare stabilmente la spesa per investimenti produttivi deve influenzare anche i nostri rapporti con le istituzioni europee. Senza sovranità economica e fiscale aumentare gli investimenti è impossibile. Ecco perché il Fiscal Compact, cappio che la classe dirigente della Seconda Repubblica ha legato al collo dell'economia italiana, va abolito. Ma è insensato anche fossilizzarci su una moneta ampiamente sopravvalutata rispetto ai fondamentali della nostra economia. Una moneta che è stata costruita su misura per la Germania e che impedisce alle nostre imprese di esportare prodotti di qualità. Non ci può essere tutela del Made in Italy senza sovranità monetaria.

La ricetta delle élite, al contrario, è sempre la stessa: tagli ai servizi pubblici fondamentali, privatizzazioni a tappeto (ora è il turno dei servizi locali) e trattati commerciali iperliberisti. Dopo decenni di crescita lenta e una lunga recessione che nei prossimi mesi potrebbe ripresentarsi, è ovvio che l'Italia sia in fondo a tutte le classifiche. O si volta pagina o si nega, nei fatti, quella Costituzione che uno straordinario referendum popolare ha rimesso al centro dell'agenda politica.

di MoVimento 5 Stelle da beppegrillo.it 

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