Un altro sacrificio. L’ultimo prima dell’arrivo di un vaccino anti Covid e di poter trascorrere un “Natale sereno”. Una settimana fa Giuseppe Conte cercava di convincere gli italiani a ingoiare la medicina di un nuovo Dpcm restrittivo regalando false speranze. Stringete i denti, sopportate il peso di altri provvedimenti e vedrete che a dicembre il peggio sarà solo un lontano ricordo. Era più o meno questa la parafrasi che si poteva fare della conferenza stampa del premier.
Forse, rendendosi conto di aver esagerato con l’ottimismo, Conte ha provato a correggersi strada facendo. “Con questo quadro di misure confidiamo di poter affrontare più distesamente il mese di dicembre. Confidiamo di arrivare al Natale con predisposizione d’animo serena. Non è che a Natale, anche se arriveranno le prime dosi dei vaccini, potremo tutti abbracciarci e fare feste e festicciole. L’importante è arrivarci sereni”, aveva aggiunto il presidente del Consiglio italiano.
Appurato che difficilmente potremo mettere le mani su un medicinale arruolabile nella lotta contro il Sars-CoV-2 entro la fine del 2020, al premier italiano restava il secondo jolly. Quello di far immaginare agli italiani un Natale spensierato a fronte di una seconda stagione di chiusure. Il punto è che anche questa promessa rischia di essere tradita prima del previsto.
Tutti puntano il dito contro le mancanze di Trump, ma si scordano delle tante ombre della famiglia Biden...
A pochi giorni dal voto negli Usa è necessario analizzare quanto fatto dal presidente Donald Trump negli ultimi anni, in particolare, facendo riferimento a certi rumors relativi all’attività del tycoon e la totale inattività della sua società in Cina.
Ci si domanda: o la società era inattiva e quindi non doveva pagare alcuna imposta oppure, se si fa riferimento a tasse pagate su un presunto imponibile, si deve dedurre che sia stato generato un reddito al netto delle spese. Dove sta lo scandalo o la notizia sensazionale?
È inoltre a dir poco specioso tornare sull’argomento delle poche tasse pagate dal presidente negli Usa quando è arcinoto, almeno a quella parte dei lettori più attenta e correttamente informata, che le tasse dovute prima delle deduzioni (come previsto dalla legislazione fiscale del Paese), sarebbero state pari a qualche decina di milioni di dollari. È doveroso aggiungere che, contemporaneamente, erano state pagate tasse locali e sulle proprietà di svariati milioni. La ricerca a tutti i costi dello scandalo è disarmante e sintomatica di un accanimento aprioristico contro Trump, sin dal giorno della sua elezione.
In questi giorni, inoltre, non si fa mai riferimento al contenuto delle mail del figlio di Biden, ai suoi presunti illeciti affari in Cina, Russia, Ucraina e Kazakistan, che coinvolgerebbero lo stesso candidato Joe Biden. Ancora una volta, sembrerebbe sfuggire all’attenzione dei media che le mail in questione sarebbero in possesso dell’Fbi sin dal 2019 in seguito dell’acquisizione del computer portatile e dell’hard drive del figlio di Biden, che era stato abbandonato dallo stesso presso un negozio di riparazione di materiale informatico.
Tutti puntano il dito contro le mancanze di Trump, ma si scordano delle tante ombre della famiglia Biden...
A pochi giorni dal voto negli Usa è necessario analizzare quanto fatto dal presidente Donald Trump negli ultimi anni, in particolare, facendo riferimento a certi rumors relativi all’attività del tycoon e la totale inattività della sua società in Cina.
Ci si domanda: o la società era inattiva e quindi non doveva pagare alcuna imposta oppure, se si fa riferimento a tasse pagate su un presunto imponibile, si deve dedurre che sia stato generato un reddito al netto delle spese. Dove sta lo scandalo o la notizia sensazionale?
È inoltre a dir poco specioso tornare sull’argomento delle poche tasse pagate dal presidente negli Usa quando è arcinoto, almeno a quella parte dei lettori più attenta e correttamente informata, che le tasse dovute prima delle deduzioni (come previsto dalla legislazione fiscale del Paese), sarebbero state pari a qualche decina di milioni di dollari. È doveroso aggiungere che, contemporaneamente, erano state pagate tasse locali e sulle proprietà di svariati milioni. La ricerca a tutti i costi dello scandalo è disarmante e sintomatica di un accanimento aprioristico contro Trump, sin dal giorno della sua elezione.
In questi giorni, inoltre, non si fa mai riferimento al contenuto delle mail del figlio di Biden, ai suoi presunti illeciti affari in Cina, Russia, Ucraina e Kazakistan, che coinvolgerebbero lo stesso candidato Joe Biden. Ancora una volta, sembrerebbe sfuggire all’attenzione dei media che le mail in questione sarebbero in possesso dell’Fbi sin dal 2019 in seguito dell’acquisizione del computer portatile e dell’hard drive del figlio di Biden, che era stato abbandonato dallo stesso presso un negozio di riparazione di materiale informatico.
Xavier Raufer, questo il nome di un criminologo transalpino che dice una volta per tutte quello che molti in Francia, dalla politica in giù, pensano. "Se ci fosse stato Matteo Salvini al ministero dell'Interno in Italia, avremmo avuto tre francesi ancora vivi". Raufer fa riferimento a quanto accaduto a Nizza, dove un 21enne tunisino ha ucciso tre persone all'interno della cattedrale di Notre-Dame. Il killer, Brahim Aoussaoui, è approdato in Europa proprio attraverso Lampedusa in uno dei tanti sbarchi di clandestini che il governo giallorosso ha provveduto a incentivare. Lo pensa anche il criminologo che in diretta tv si lascia andare a un plauso: il leader della Lega "ha fatto bene il suo lavoro, ha messo un freno considerevole alla marea migratoria".
E ancora, in una chiara critica al Viminale e a Luciana Lamorgese, aggiunge: "E tutti quelli che, i media e altri, hanno manifestato una malsana gioia quando i pericoli della democrazia all'italiana ha allontanato Salvini, oggi hanno solo i loro occhi per piangere". Per Raufer il problema migratorio non è da prendere alla leggera: "Tutto questo accade quando ci lasciamo sommergere, perché quello era ovviamente un migrante ed era ovviamente un clandestino". Parole, queste, rilanciate anche dalla pagina ufficiale della Lega che condivide su Twitter il discorso del criminologo. Pd e M5s che dicono? E la Lamorgese?
Donald Trump è implacabile in queste ore su Twitter, dove sta sfidando la censura pur di continuare a battere sulla strada dei presunti “brogli” alle elezioni presidenziali americane. “Stanno trovando voti per Joe Biden ovunque, in Pennsylvania, Wisconsin e Michigan. Un male per il Paese”, ha denunciato Trump, che poi ha aggiunto il carico contro i democratici: “Stanno lavorando duramente per far sparire il prima possibile il vantaggio di 500mila voti in Pennsylvania. Lo stesso sta avvenendo in Michigan e altrove!”. Insomma, “The Donald” non ha alcuna intenzione di mollare la Casa Bianca senza combattere, a costo di rivolgersi addirittura alla Corte Suprema: di certo negli Stati chiave in cui è attualmente proiettato come perdente con uno scarto inferiore all’1% potrà chiedere di ricontare i voti.
Ma ciò non toglie che Trump ha scelto di utilizzare toni davvero forti: prima ancora degli ultimi due tweet, aveva condiviso un’altra analisi a dir poco complottista. “La scorsa notte - ha scritto - ero in testa, spesso in modo solido, in molti Stati chiave che, in quasi tutti i casi, i democratici governavano e controllavano. Poi, uno ad uno, i vantaggi hanno iniziato a sparire magicamente mano a mano che venivano contate montagne di schede a sorpresa. Molto strano - ha chiosato - come mai ogni volta che contano i voti postali questi si rivelano così devastanti per percentuale e potere di distruzione?”.
Per decretare il nome del vincitore delle presidenziali Usa c'è solo una tappa: la Corte Suprema. Lo ha messo nero su bianco Donald Trump che ha a più riprese dichiarato: "Questa è una frode per gli americani e un imbarazzo per il Paese. Andremo alla Corte Suprema". La decisione del tycoon ha un precedente storico che risale a vent'anni fa e fu il cosiddetto caso "Bush vs Gore". Qui il verdetto del 2000 che consegnò ai repubblicani la Casa Bianca. I pronunciamenti, che durarono un mese, decretarono di fatto la vittoria di George W. Bush. E così il presidente uscente tenta il tutto per tutto ripercorrendo le ombre dei suoi predecessori.
Il verdetto, in questo caso, come spiega La Stampa, potrebbe arrivare l'8 dicembre, termine entro il quale dovranno essere concluse le eventuali controversie, a partire da quelle sul voto per posta. Termine che vale anche per l'eventuale nuovo conteggio dei voti nei singoli stati, per le cause nei tribunali e per il possibile ricorso alla Corte Suprema. A quel punto non resterebbe che nominare il presidente in data 14 dicembre, quando il collegio formato da 538 grandi elettori deciderà. Ad oggi la Corte suprema ha sei giudici conservatori su nove. Tra loro la pupilla del presidente, Amy Coney Barrett. Potrebbe essere lei l'asso nella manica di Trump.
L'esito delle presidenziali americane è ancora incerto, ma per ora vede un vantaggio del democratico Joe Biden. A frenare però l'entusiasmo ci pensa Edward Luttwak: "Non si sa ancora se ha vinto Biden o Donald Trump. Ma di sicuro si sa chi ha perso: ed è tutto l'establishment che va dal New York Times al Washington Post alla Silicon Valley". Insomma, per il politologo americano tutta la base dem.
Per Luttwak "i democratici hanno perso seggi alla Camera e il Senato è rimasto repubblicano. In questo contesto anche se Biden vincesse avrebbe un raggio d'azione molto limitato. Il Green new deal e l'intero programma socialdemocratico sono stati definitivamente buttati fuori dalla finestra". Per il politologo, dunque, è sconfitto "il pensiero di chi ritiene che l'unica questione in America siano i neri di professione".
C’è qualcosa di peggio del Dpcm di Conte che doveva entrare in vigore oggi e che solo ieri sera è stato spostato dal premier a domani. È la storia dei drammatici ritardi riguardanti i lavori per mettere a norma gli ospedali da attrezzare contro il Covid. Altro che terapie intensive. Giuseppe Conte, premier fanfarone, e Domenico Arcuri, commissario accentratore e sbrigativo, hanno provocato solo guai per gli ospedali. L’emergenza Covid la combattiamo con i perditempo e se va bene le strutture sanitarie saranno pronte dopo i festeggiamenti di Capodanno (che quindi non ci faranno fare con i lockdown a regioni alterne e le proroghe a cui ci hanno abituato).
È una storia di allucinante burocrazia quella che ruota attorno a un miliardo e trecento milioni di euro che arrivano per un’intesa – anch’essa ricca di complicazioni – con la Banca europea degli investimenti. E siccome si perde tempo – come testimonia la telenovela dell’ultimo Dpcm che doveva entrare in vigore stamane e invece slitta a domani... - arrivano le gole profonde a raccontare dettagli incredibili per i quali basta chiedere conferma ai governatori, che cominciano ad essere stufi di vedersi scaricare, in maniera vergognosa, le responsabilità da parte del governo. Altro che la leale collaborazione invocata da Conte e compagnia. Sono giorni che dalla maggioranza di Palazzo Chigi arrivano bordate sulle Regioni, approfittando del fatto che la gran parte di esse sono a guida centrodestra. E quindi giù botte. Ma i mesi sono passati invano, tra prima e seconda ondata Covid, proprio per colpa della smania di potere dei signori che governano l’Italia. A partire dal bottino. Le gare le hanno gestite lassù, mica hanno delegato le Regioni.
Tutto è cominciato quando il governo – con le migliaia di morti che contavamo a grappoli – si è deciso ad assumere le prime iniziative. Le date sono importanti, successivamente alla proclamazione dello stato di emergenza del 31 gennaio a cui seguì oltre un mese di dolce far niente. La marcia è stata innestata dando vita ad una spirale burocratica infinita. Tutti parlavano già di una seconda ondata autunnale, ma si perdeva tempo per decidere se delegare o no i territori, soprattutto laddove il Covid non aveva ancora fatto il suo massiccio ingresso. Da una parte l’emergenza continua, prorogata con altre due delibere del Consiglio dei ministri a fine luglio e il 7 ottobre. Il 17 marzo arriva il cosiddetto decreto cura Italia. Una marea legislativa con centinaia di articoli e commi. Al numero 122 arriva quello decisivo per gli ospedali. Si istituisce la figura del commissario straordinario per l’emergenza, che 24 ore dopo assume le sembianze del dottor Domenico Arcuri. Ma ci vogliono ben due mesi ancora per parlare di ospedali. È il decreto rilancio quello che varano il 19 maggio. Una incredibile discussione deve aver preceduto la decisione di affidare ad Arcuri persino la realizzazione di reparti e strutture per la lotta al Covid. Anziché affidare i poteri commissariali direttamente ai governatori, li accentrano a Roma e comincia la nuova odissea: gli eletti dal popolo devono rispondere – e pure di corsa – al signore nominato dal premier nominato. Infatti, nel dl rilancio c’è scritto che Arcuri può nominare come suoi delegati presidenti di regione o di province autonome. Le nomine, mentre lui si riserva le gare, arriveranno però ad ottobre. Nel frattempo, le Regioni sono costrette ad un’estenuante trafila burocratica che si conclude a fine agosto con i piani regionali da far approvare prima dal ministero della salute e poi immancabilmente dalla Corte dei Conti. Ad agosto finalmente il sigillo.
Nel suo nuovo saggio Michel Onfray tesse le lodi del generale rispetto a Mitterand
Pochi giorni prima che morisse, Michel Onfray promise al suo professore di filosofia greca e romana, Lucien Jerphagnon, di scrivere un libro su Charles de Gaulle. Memore dei corsi e della corrispondenza avuta negli anni Ottanta con l'amato insegnante, il filosofo francese ha mantenuto quella promessa con Vies Parallèles (Robert Laffont), le biografie incrociate delle due figure più importanti della Quinta Repubblica: Charles de Gaulle, appunto, e François Mitterrand.
Il centododicesimo libro di questo philosophe enraciné, come lo definisce il Figaro Magazine, è una controstoria del gollismo e del mitterrandismo e insieme un confronto tra il Generale e il suo eterno rivale, da cui il primo esce sublimato e il secondo estremamente rimpicciolito. «Dopo la morte del generale de Gaulle è finita la grandeur. Il Generale aveva detto che il popolo aveva scelto di essere un piccolo popolo, ed ebbe dunque dei piccoli governanti. Il più piccolo di questi piccoli governanti si impegnò a distruggere tutto ciò che aveva fatto il generale de Gaulle; fu la sua unica costante: rendere piccolo ciò che era stato grande, piccolo come lui. Si chiamava François Mitterrand», scrive Onfray negli estratti pubblicati sabato dal Figaro Magazine. E ancora: «L'opposizione tra Charles de Gaulle e François Mitterrand mette schiena contro schiena un uomo che lotta contro il crollo di una civiltà e un individuo a cui non importa che la civiltà scompaia, gli basta poter vivere tra le rovine alla maniera di un satrapo. Il primo sacrifica la propria vita per salvare la Francia; il secondo sacrifica la Francia per salvare la propria vita. Uno vuole una Francia forte, grande e potente, capace di ispirare l'Europa degli Stati; l'altro la vuole debole, piccola e impotente, fagocitata dall'Europa del capitalismo. De Gaulle è un senatore romano; Mitterrand un cittadino di Capua».
Lo scorso 18 giugno, in occasione degli ottant'anni del primo appello del Generale sulle onde radio della BBC, Onfray ha pubblicato un video che ha fatto molto rumore negli ambienti goscisti. Per questa affermazione: «De Gaulle era un uomo di sinistra sostenuto dalla destra, Mitterrand era un uomo di destra sostenuto dalla sinistra». Ma la gauche non aveva ancora letto le pagine del suo futuro libro. «De Gaulle sa di essere e vuole essere al servizio della Francia fin dagli anni della sua giovinezza, immaginandosi già in veste di generale che caccia gli invasori tedeschi fuori dalla Francia; Mitterrand vuole una Francia al suo servizio e, per raggiungere il potere supremo, farà intrighi politici con tutti, con i comunisti, con l'estrema destra e poi con i socialisti, con i bigotti e in seguito con i laicisti, con i sostenitori dell'Algeria francese e subito dopo con i fautori della decolonizzazione, ma mai con i gollisti, che, ad ogni modo, non lo avrebbero mai voluto al loro fianco», afferma Onfray.
Siamo bombardati dai numeri dei contagiati. Nessun bollettino, tuttavia, viene illustrato al pubblico con un approccio diverso dal solito. Si dice prima il numero dei nuovi positivi, poi il numero totale dei contagiati, alla luce dei tamponi fatti. Ma se – facciamo un esempio – su 250 mila tamponi i nuovi positivi sono 25 mila, significa che ben 225 mila tamponi hanno dato un esito negativo.
Quindi pensate come cambierebbe una notizia data così. Farebbe tirare un respiro di sollievo alla gente angosciata dalla situazione che sta vivendo. Se i numeri dei positivi si avvicinano a quelli della scorsa primavera va pure detto che quando tiri in porta 100 volte hai più possibilità di fare gol rispetto a quando tiravi soltanto 5 volte. Ovviamente non è di pallone che stiamo parlando ma dei tamponi.
Il virologo Giorgio Palù, emerito dell’Università di Padova e di fama internazionale, intervenendo a Quarta Repubblica, ha detto chiaro e tondo che la seconda ondata non è paragonabile alla prima. Questo non significa che dobbiamo allentare le precauzioni – tutt’altro – visto che andiamo incontro al periodo in cui i virus presenti nel raffreddore e nell’influenza viaggiano e si diffondono maggiormente. «Se c’è una crescita esponenziale della curva – ha spiegato il professor Palù – bisogna guardare alle ragioni della crescita, visto che le misure tipo distanziamento e mascherine sono rimaste invariate. Gli eventi che hanno fatto lievitare la curva sono concise nelle date del 14 e 24 settembre, cioè l’apertura della scuola con 8 milioni di studenti in circolazione sui mezzi di trasporto. È questo il primo dato inconfutabile della crescita della diffusione del virus».
Secondo il virologo non si possono fare confronti con i numeri di marzo. Perché se – sottolinea Palù come esempio – abbiamo 237 mila persone contagiate, 1200 sono in terapia intensiva (0,5%), 12 mila sono in ospedale (pari a circa il 5% di cui il 20% non è grave). Al di fuori quindi c’è un 94% dei contagiati che risulta asintomatico o paucisintomatico, cioè con un po’ di raffreddore, qualche colpo di tosse, mal di gola. In questo caso rimanere a casa è fondamentale senza andare ad affollare gli ospedali, dove il virus circola di più, e si toglie la possibilità di cure a persone con patologie più gravi e una mortalità più alta.
Roberto Saviano scopre l’ipocrisia della sinistra. «Sono stanco della retorica sulle bellezze del nostro Paese e sulla sanità pubblica che ce la invidia tutto il mondo, perché non è vero. E sono stanco anche di una sinistra che si rintana dentro i buoni modi, la buona educazione, la gentilezza. Io invito a gridare contro tutto questo». In un’intervista a Marco Damilano su Espresso.repubblica.it Saviano è sferzante. L’occasione è quella di parlare del suo nuovo libro Gridalo. Il giornalista e scrittore, simbolo della sinistra progressista e radical chic, ce l’ha con tutti. L’intervistatore gli ricorda che recentemente ha «mandato a “cagare”, cito, il segretario del Pd». «L’ho fatto perché non basta più rintanarci dentro i buoni modi, la buona educazione. Basta con le prediche contro l’odio. Io, per esempio, sento di odiare tantissimo. Devo disciplinarmi per non far emergere in pubblico un odio che provo in modo assoluto». Ce l’ha con i nemici ma anche con gli amici. «Io odio chi mi ha fatto del male. Odio quelli che stanno dalla mia parte ma poi mi pugnalano alle spalle perché mi detestano. Li odio profondamente, personalmente. Devo lavorare per andare oltre, perché questo odio mi delegittima, corrompe le mie parole e il mio impegno, corrode me stesso. Ma non credo la strada da seguire sia la gentilezza. È ora dire basta…».
Saviano: «Una rivolta arrivata in ritardo»
Si parla delle rivolte di piazza, dell’ira della gente imbufalita.
«È una rivolta – dice Saviano – arrivata in ritardo. La gente ha pensato che la pandemia fosse finita, si è scatenata la rabbia quando si è visto che non era così. E ora i soldi mancano, i locali chiudono, il lavoro nero diventa l’unico possibile. Napoli è stato l’inizio, come al solito, ma ora le manifestazioni si sono spostate nelle altre città italiane. E sono pronte a scoppiare le banlieue in Francia, Spagna, Inghilterra».
M5SC’è un’indagine della Procura di Milano sui rapporti finanziari fra M5S e Associazione Rousseau.
I magistrati milanesi, secondo quanto apprende l’Adnkronos da fonti giudiziarie, starebbero svolgendo accertamenti sulla vicenda dei 119.800 euro trasferiti dal “Comitato eventi nazionali”, già “Comitato Italia 5 Stelle” – che organizzò la festa di “Italia 5 Stelle” a Rimini nel 2017 – all’Associazione Rousseau.
Il fascicolo aperto contro ignoti è, al momento, sul tavolo della pm Alessia Menegazzo, la quale, spiegano le stesse fonti, sta valutando il titolo di reato.
Con un esposto presentato a giugno, l’avvocato dei dissidenti grillini Lorenzo Borrè aveva chiesto alla Procura di valutare l’operato del Comitato Italia 5 Stelle del 2017 in merito alle informazioni fornite al pubblico al momento della raccolta delle donazioni per la kermesse di Rimini e al trasferimento dell’avanzo di cassa in favore dell’Associazione Rousseau presieduta da Davide Casaleggio.
La pandemia di Covid-19 ha fatto di virologi, infettivologi, epidemiologi, le star dei mezzi di informazione, onnipresenti anche con i loro commenti e raccomandazioni, spesso contraddittorie. Domina la scena, con 4.725 citazioni, Walter Ricciardi, consulente speciale del ministro della Salute sull’epidemia e professore di Igiene generale e applicata all’università Cattolica, seguito da Andrea Crisanti, virologo dell’Università di Padova (3.291), e da Massimo Galli, primario infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano (2.705).
Il ‘borsino’ dei virologi è frutto del monitoraggio svolto su oltre 1.500 fonti d’informazione – fra carta stampata (quotidiani nazionali, locali e periodici), siti di quotidiani, principali radio, tv e blog – da Mediamonitor.it e Cedat 85 negli ultimi 30 giorni, confrontandoli con i dati raccolti lo scorso aprile, in pieno lockdown.
Tra i virologi avanzano Ricciardi e Galli
Ecco la classifica. Rispetto alla primavera, se Ricciardi e Galli guadagnano una posizione ciascuno e confermano così la loro popolarità, spicca l’ascesa di Andrea Crisanti, balzato dal decimo al secondo posto, anche a causa degli scontri recenti con il presidente della Regione Veneto Luca Zaia. Perde invece il primato in classifica il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, che sconta la sospensione della quotidiana conferenza stampa della Protezione Civile e retrocede al quinto posto, con 1.574 citazioni.
I primi dubbi degli scienziati cinesi risalgono allo scorso giugno, quando il mercato di Xinfadi, a Pechino, si era trasformato in un focolaio di Covid-19. Nonostante nei mesi precedenti la Cina fosse riuscita a debellare il virus, grazie a un monitoraggio maniacale e capillare di tutta la popolazione, qualcosa non aveva funzionato. In qualche modo il Sars-CoV-2 era riuscito a entrare nel più grande mercato di carne, frutta e verdura della capitale.
Tutti gli indizi portavano dritti al tagliere di uno stand usato per lavorare il salmone. Dal momento che la carica virale era elevata, alcuni esperti hanno ipotizzato che i prodotti venduti a Xinfadi potessero essere stati contaminati dai prodotti importati dall’estero. Ipotesi, questa, che si è presto diffusa sul web cinese, portando i principali supermercati delle città di tutta la Cina a rimuovere il pesce dagli scaffali. Non solo: il gigante asiatico era arrivato addirittura al punto di sospendere tutte le importazioni di salmone dai fornitori europei per paura di un loro collegamento al focolaio pechinese.
In quei giorni, in base alle tracce genetiche rinvenute sul presunto tagliere incriminato, i media cinesi parlavano di un possibile arrivo del virus dall’Europa tramite l’importazione di alimenti surgelati. La pista non è mai stata né confermata né smentita. In ogni caso nel giro di pochi giorni l’allarme di Xinfadi è rientrato, il focolaio è stato domato e nessuno ne ha più parlato.
Una macchina organizzativa che è “al collasso” e che deve essere “resettata”. Guido Bertolaso sostiene la necessità di un lockdown per un mese che, secondo lui, oltre che a far rallentare i contagi da coronavirus, servirebbe anche a rimettere un po’ a posto la gestione dell’emergenza. “Ci siamo fatti travolgere da virus. Gli italiani sono profondamente delusi dalle istituzioni”, ha sottolineato l’ex capo della Protezione civile, per il quale il commissario Domenico Arcuri “vive con un altro fuso orario”.
Bertolaso: “La macchina organizzativa è al collasso”
“Nella prima ondata siamo stati tempestivi, nella seconda hanno dormito. Dobbiamo subito fermarci per un mese. La situazione purtroppo è destinata a peggiorare”, ha detto Bertolaso in un’intervista a La Verità, precisando che “bisogna chiudere il Paese per rallentare i contagi”. “Ma poi però – ha proseguito – dobbiamo approfittarne per resettare la macchina organizzativa. È al collasso. Non voglio più vedere le file delle ambulanze che intasano i pronto soccorso perché manca ancora il filtro della medicina territoriale“.
“Ci siamo fatti travolgere dal virus”
“Gli italiani – ha sottolineato quindi l’ex capo della Protezione Civile – sono profondamente delusi dalle istituzioni. Ci siamo fatti travolgere di nuovo dal virus. Soltanto adesso, ma in fretta e furia, stanno allestendo i Covid Hospital. Inserire reparti Covid negli ospedali significa paralizzarli, facendo danni enormi per le altre patologie”.
Gianluigi Paragone, a ridosso dell'informativa di Giuseppe Conte alla Camera, teme il peggio. Il premier "si presenta al parlamento nel disperato tentativo di buttare la palla in tribuna, e, guardando metaforicamente Macron, la Merkel e compagnia varia, troverà la frase perfetta: 'Lockdown? Purtroppo lo fanno tutti e non ne possiamo fare a meno'". L'ex grillino ora leader di Italexit non grazia le regioni da qualsiasi responsabilità, ma di certo non dà la colpa ai governatori del possibile nuovo lockdown. "Col cavolo - verga sulle colonne del Tempo -. Se oggi si richiude la colpa loro! Loro coi poteri dello stato di emergenza, loro coi segreti, loro con le riunioni carbonare".
Nascosti, tra le tante cose, anche gli atti sui bandi Covid che il commissario per l'emergenza Domenico Arcuri si è ben visto dal rendere pubblici. Ma l'invettiva di Paragone non finisce qui: "Mentre infatti qualcuno si eccita a parlare di rimpasti, di secondi o terzi mandati, i ristoranti e i bar chiudono anzitempo con il marchio di untore e nei teatri si abbassa il sipario". Poi la frecciatina al Movimento 5 Stelle: "La vita reale di chi lavora senza garanzie o paracadute fa la gimcana tra burocrazia, pressing delle banche, agenzia delle entrate. Tirare a campare stavolta può essere pericoloso, per un governo retto da una forza nata al grido del 'Vaffa!'. Certi motti tornano indietro e fanno male".
A dar ragione, pur indirettamente (ma neppure troppo) a Matteo Salvini e Giorgia Meloni ci pensa un insospettabile: Massimo Giannini, il direttore de La Stampa da poche ore guarito dal coronavirus. Lo stesso Giannini che ha speso parole di fuoco nei suoi editoriali contro Giuseppe Conte per la gestione della seconda ondata. E il direttore dà ragione ai leader di Lega e Fratelli d'Italia proprio sul fatto che Conte non abbia minimamente coinvolto le opposizioni nella gestione di questo momento drammatico (soltanto oggi, lunedì 2 novembre, per la prima volta un voto in aula sul dpcm: non esattamente un lavoro "collegiale"). Ospite in collegamento a L'aria che tira su La7, Giannini commenta il discorso del premier alla Camera: "Le parole di Conte arrivano un po' tardi, mi sarei aspettato un po' più di unità nazionale". E ancora: "In sette mesi il livello di coinvolgimento di tutte le forze politiche, di fronte a un'emergenza mai vissuta dal Dopoguerra in poi, è stato davvero molto molto basso", conclude Massimo Giannini. Niente da aggiungere.
Caro direttore, il nuovo vaccino del Premier Conte per la sua sopravvivenza, in seguito alla mala gestione del Covid si chiama ‘142 NOMINE ’. Un’orgia di incarichi negli enti pubblici che vanno dal mondo delle Ferrovie (Trenitalia, Italferr, ecc.) al Poligrafico dello Stato, Invitalia, Consap e Consip e negli apparati più delicati dello Stato. Come se non bastasse, vengono messi sul piatto, nelle ultimissime ore, anche due ambitissimi rimpiazzi di Ad: quelli di Alessandro Profumo (Leonardo) e Fabrizio Salini (Rai).
La rimozione di Profumo è formalmente legata alla sua condanna in primo grado per i pasticci attribuitigli quando era a MPS, ma in realtà deriva dalla gestione disastrosa del gruppo che viaggia tra un indebitamento monstre e una perdita di commesse senza precedenti. Per gli analisti urge un aumento di capitale di almeno 5 miliardi, con il mondo della Difesa, soprattutto inglese e Usa, che, per motivi reputazionali, non vuole più trattare con il manager soprannominato “Mr. Arrogance”. La presenza come presidente del generale Luciano Carta è l’unica garanzia per evitare all’ex Finmeccanica un lockdown commerciale.
Per Fabrizio Salini, invece, è arrivato il tempo di smontare di corsa dal cavallo di viale Mazzini. Sotto la sua gestione, la Rai è diventata una babele, con dirigenti che girano a vuoto e redazioni e giornalisti allo sbando. Totalmente isolato e paralizzato, Salini vive ormai come un monaco di clausura, dopo aver forzato, contro tutto e tutti, le direzioni trasversali e tematiche, create con l’intento di togliere lo scettro ai direttori di rete, ma alla fine svanite senza lasciare traccia.Ancora vacante la direzione di Rai fiction e giustamente rimangiata la decisione di chiudere RaiStoria e RaiSport. L’unico con il quale l’Ad ancora si consulta e si aggrappa, è un tecnico mixer, animalista convinto, strenuo paladino dei cinghiali che circolano a Roma, Riccardo Laganà, il quale grazie all’ultima riforma, siede nel Cda a difesa dei lavoratori. Nel suo account Facebook, una frase svela la sua azione riformatrice : “la serva è ladra, la padrona è cleptomane”.
Ormai è certo: si viaggia verso il lockdown. Diverse città interessate, resta da capire quando: forse lunedì, forse il 3 novembre, c'è chi dice il 9 novembre. Contro il coronavirus si chiude tutto. Ancora. Le opposizioni chiedono a governo e Giuseppe Conte quali siano i dati scientifici sulla base dei quali si decidono queste chiusure. Dati che, probabilmente, il governo non ha. Lo spiega Il Tempo, che dà conto di uno studio scientifico presentato da Claudio Giorlandino, direttore sanitario di Altamedica, su La7. L'esperto snocciola i dati relativi al tracciamento, almeno quello che ha funzionato. E mette in evidenza dove gli italiani non si sono infettati. Si scopre così che, stando allo studio di Altamedica, il 97% dei contagiati non aveva frequentato ristoranti; il 94% non aveva frequentato cinema e teatri; il 95% non aveva frequentato le palestre. Il 58% al contrario aveva utilizzato il trasporto pubblico. Dati scientifici, a disposizione di tutti. Dati che danno la cifra di quanto il governo agisca alla cieca, senza riuscire ad individuare i veri centri del contagio.
Aumentano i morti a Roma e i servizi funebri di Ama potrebbero entrare (o già essere) in difficoltà. Una situazione che rischia di ricadere direttamente sui cittadini, sia dal punto di vista economico che organizzativo. Con un solo forno crematorio disponibile e due cimiteri, Laurentino e Verano, dove le sepolture sono bloccate nel primo caso e nel secondo riservate solo ai titolari di concessioni, si rischiano disagi e aumenti dei costi per i romani costretti a rivolgersi altrove. Ma Ama specifica che «non c’è alcun allarme per le sepolture».
I dubbi nascono da una comunicazione che la municipalizzata ha inviato alle agenzie funebri della Capitale (circa 600) in cui illustra una sorta di riorganizzazione di attività e servizi cimiteriali a causa della seconda ondata di coronavirus. Nel documento, infatti, la municipalizzate del Comune mette nero su bianco un «forte incremento di mortalità registrato nelle ultime due settimane, che nel mese di ottobre al momento ha comportato un incremento di decessi di circa il 20% sull’ottobre 2019, con oltre 500 defunti in più». Tutto questo, dunque, andrebbe a pesare sulle condizioni dei cimiteri capitolini già critica, anche se Roma registra una media di 65-70 morti al giorno, e i 500 decessi in più segnalati da Ama indicano un aumento di 19 al giorno a fronte di quasi 4 milioni di abitanti.
Ma quello che desta preoccupazione negli operatori del settore è la gestione delle cremazioni. La camera mortuaria del cimitero Flaminio ha raggiunto la sua capienza massima, con 900 salme in attesa. Non potendone ospitare altre Ama ha deciso, dal 2 novembre prossimo, di dirottare i feretri in attesa di cremazione nella camera mortuaria del Verano. Da qui, 48 ore prima dalla data stabilita, la salma dovrà essere ricondotta al cimitero Flaminio. Tutto questo a carico dei familiari del defunto che dovranno pagare il doppio trasporto. Se non volessero attendere i tempi della cremazione a Roma, possono scegliere di rivolgersi ad un forno crematorio in un altro comune. E qui scatta il secondo salasso. La Capitale autorizza lo spostamento previa autorizzazione che costa 256,22 euro. Sempre che arrivi in tempi brevi, altrimenti la prenotazione nel forno crematorio di un altro comune potrebbe saltare.
Caos totale nel governo di Giuseppe Conte sulla nuova stretta anti-Covid. Un nuovo Dpcm che istituisce mini-lockdown in metropoli, città o singoli quartieri potrebbe essere già varato entro domani o comunque per le festività di Ognissanti e del 2 novembre. Ma c'è grande incertezza nell'esecutivo che continua a litigare sulla scuola.
L'orientamento dominante è quello di lockdown e zone rosse in luoghi definiti. Il criterio è quello stabilito dall'Istituto superiore di sanità: dove il tasso di Rt, il tasso di contagiosità, supera la soglia del 2 scattano le restrizioni per negozi, attività non fondamentali e via dicendo. La lista è presto fatta. "Ci sono due Regioni sopra questo livello, Lombardia e Piemonte. E ci sono diverse grandi città e capoluoghi a ballare attorno a questo dato, tra cui Milano e Napoli, Caserta, Varese e Genova, Como, Torino e alcune realtà del Veneto del Centro e del Sud (per la debolezza della sanità si osservano con preoccupazione Calabria e Sicilia)", scrive Repubblica. Manca Roma, che resta sotto i riflettori per il trend in forte crescita dei contagi.
Intanto è forte lo scontro sulla scuola, solo Italia viva difende la ministra Lucia Azzolina che vuole aperto. In ogni caso nuove restrizioni potrebbero arrivare già nel fine settimana, con il Pd che spinge per un nuovo Dpcm entro il 3 o il 4 novembre. "Si tratterà di un lockdown morbido, per armonizzare sul territorio nazionale altre misure restrittive: la chiusura dei centri commerciali nel week end, ulteriori limiti ai ristoratori e agli orari del commercio, eventuali restrizioni sui movimenti interregionali", scrive sempre Repubblica ma Conte frena: non si può licenziare "un testo ogni tre giorni", avrebbe confidato il premier. Ma tanto gli italiani ci sono abituati.
«Noi italiani abbiamo dimostrato col Covid di essere all’altezza di comprenderne la gravità e assumerci le nostre responsabilità, cambiando quasi totalmente le nostre abitudini, a discapito di una libertà che pensavamo di avere conquistato definitivamente. E invece ce la siamo vista a scippare da un virus, e dal fatto che non ci siamo preparati a prevenirlo. Oggi è scandaloso che il governo non sia stato in grado di prepararsi a questa seconda ondata, con efficacia definitiva e tangibile verso i lavoratori». Renato Zero commenta l’attuale situazione italiana relativa alla pandemia e sferra un duro attacco contro il governo.
Renato Zero: «I governi dovrebbero prepararsi»
«I governi – spiega l’artista – dovrebbero prepararsi a queste evenienze. In passato non eravamo in grado di approntare una difesa massiccia e adeguata, oggi sì». «L’avere fiducia nella politica viene meno quando i risultati sono che se non avessimo pagato le nostre tasse avremmo passato un brutto quarto d’ora, ma quando si tratta di ricevere le quote della cassa integrazione, passano dei mesi e forse quei danari non arriveranno mai. Questo lo trovo gravissimo e offensivo», affonda Zero, che commenta anche le chiusure disposte dal nuovo dpcm. Criticando la scelta di penalizzare bar, ristoranti, teatri e concerti.
Renato Zero contrario alla chiusura di ristoranti e teatri
«Sul fatto dei ristoranti, mi viene da pormi un quesito. Andare al ristorante alle 13 è meno pericoloso che andare alle 20? Perché? Ho tanti amici ristoratori, e a pranzo non ci va nessuno al ristorante. Con lo smart working la gente consuma il pasto fugace dove si trova. La funzione del ristorante è per lo più serale. Se invece che far chiudere alle 18 avessero permesso ai ristoratori di usufruire della cena, molti non si sarebbero lamentati, né avrebbero chiuso i battenti. Qual è la differenza? Me lo deve spiegare qualcuno», sbotta Renato.
Le elezioni americane si avvicinano e Antonio Noto ha chiesto agli italiani per chi voterebbero tra Donald Trump e Joe Biden. Il sondaggio per il Quotidiano nazionale riserva una sorpresa per certi versi clamorosa. Il 53% sceglierebbe il democratico e il 47% il presidente repubblicano, ma secondo addirittura il 62% gli americani voteranno per lo sfidante. Ma è scendendo nel dettaglio che si salta sulla sedia.
L'88% degli elettori della Lega voterebbe Trump, e fin qui nulla di strano. La percentuale scende all'82% tra gli elettori di Fratelli d'Italia e al 50% spaccato tra quelli di Forza Italia. Nell'altro campo le percentuali si ribaltano. Solo il 27% degli elettori del M5s sceglierebbe Trump. E nel Pd? Il 95% vorrebbe Biden. Ma il 5% voterebbe per Trump. Delle due l'una: o c'è un 5% di buontemponi oppure il mondo si sta veramente ribaltando.