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Immigrazione, Nello Musumeci picchia duro: "Strafott*** senza precedenti, sulla Open Arms oltre 60 i positivi"
Un sistema al collasso quello dell'accoglienza in Italia. A denunciare - ancora una volta - quanto sta accadendo nel nostro Paese è Nello Musumeci: "Apprendo adesso - esordisce su Facebook il presidente della Regione Sicilia impegnato da mesi in un braccio di ferro con il governo - che sono oltre 60 i positivi arrivati con la Open Arms a Palermo. A questi si aggiungono quelli già presenti in Sicilia e quelli che hanno test in corso. Il tutto mentre la "zona rossa" istituita ieri si è rivelata una scelta tempestiva con il numero dei positivi nella comunità di Palermo cresciuto oltre le 100 unità".
Il governatore torna a chiedere l'intervento del governo, perché "l'Europa è assente sul suo fronte più scoperto: il Mediterraneo. Lo hanno abbandonato e l’Occidente non può fare finta di niente. Il prezzo lo pagano la Sicilia e il resto d'Italia. C’è una straf***za senza precedenti, una volgare strumentalizzazione che capovolge la realtà: quelli che difendono i diritti umani sono accusati di razzismo; quelli che se ne fregano della salute degli ultimi, sono pronti per la canonizzazione. In un mondo così, in un mondo che va al contrario, nessuno - conclude - si deve poi lamentare se la paura genera insicurezza. E di insicurezza, si sa, si alimentano i totalitarismi, non le democrazie". Il tutto, ovviamente, mentre gli italiani sono costretti a rispettare le regole anti-Covid.
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Gli Stati Uniti avvisano il Vaticano: “Non rinnovi l’accordo con la Cina”
Gli Stati Uniti sono entrati a gamba tesa sul possibile rinnovo dell’accordo tra Vaticano e Cina in merito alla nomina dei vescovi. Il monito alla Santa Sede di non fidarsi di Pechino è arrivato direttamente da Mike Pompeo. “Due anni fa, la Santa Sede ha raggiunto un accordo con il Partito comunista cinese, sperando di aiutare i cattolici cinesi. Ma l’abuso del Pcc sui fedeli è solo peggiorato. Il Vaticano metterebbe a rischio la sua autorità morale, se rinnovasse l’accordo”, ha scritto in un tweet al veleno il segretario di Stato Usa.
Proprio Pompeo aveva già toccato l’argomento scrivendo un lungo saggio pubblicato sulla rivista statunitense First Things. Il braccio destro di Donald Trump ha criticato la decisione del Vaticano di dare legittimazione a vescovi e sacerdoti che erano nel Partito comunista cinese, facendo leva sulla difesa della “libertà religiosa in Cina” e dei fedeli cinesi. Washington ha insomma espressamente chiesto al Vaticano di unirsi a questa missione.
Anche perché, si legge sempre nel articolo firmato da Pompeo, nel caso in cui il Pcc dovesse “mettere in ginocchio la Chiesa cattolica e le altre comunità religiose”, in quel caso i “regimi che disprezzano i diritti umani” saranno “incoraggiati” e il “costo della resistenza alla tirannia aumenterà per tutti i coraggiosi credenti religiosi che onorano Dio al di sopra dell’autocrate del giorno”.
La “chiamata alle armi” di Pompeo
Pompeo farà di tutto per convincere il Vaticano ad abbandonare l’abbraccio cinese. Ed è anche per questo che il prossimo 29 settembre il segretario americano farà tappa proprio presso la Santa Sede. Il motivo di una così imperterrita chiamata alle armi di Washington sta tutta nello scenario favorevole a Pechino. Già, perché, come ha sottolineato Repubblica, la disponibilità del Vaticano verso la Cina è massima.
Anzi: la segreteria vaticana starebbe aspettando una risposta cinese, che dovrebbe sopraggiungere entro la metà di ottobre. Ovvero il giorno stesso in cui, due anni fa, entrò in vigore lo storico accordo. Pompeo ribadirà di persona ai suoi interlocutori che l’accordo Cina-Vaticano non ha affatto tutelato né difeso i cattolici dal governo cinese. Giusto per agitare ulteriormente le acque, e completare il binomio libertà religiosa-tutela dei diritti umani, il funzionario americano tirerà in ballo anche le questioni relative a Hong Kong e lo Xinjiang, cercando di mettere la Santa Sede con le spalle al muro.
Corte Suprema Usa, Trump apre lo scontro: "Procedere senza indugi alla nuova nomina"
Il presidente punta a far entrare nel massimo organo giudiziario Usa un altro conservatore, spostando così la maggioranza definitivamente a favore dei repubblicani. Ma nel 2016 erano stati proprio loro a bloccare la nomina del giudice scelto da Barack Obama, sostendendo che un leader uscente non può fare nomine simili
WASHINGTON - Bisogna procedere "senza indugio" alla nomina del nuovo giudice della Corte Suprema dopo la scomparsa di Ruth Bader Ginsburg: con un tweet Donald Trump dà ufficialmente il via alla battaglia destinata a spaccare ulteriormente l'America alla vigilia delle elezioni presidenziali. Il presidente vuole scegliere immediatemente il successore della giudice liberal scomparsa nella notte: una procedura opposta a quella che si seguì nel 2016 quando i repubblicani bloccarono le audizioni di conferma di Merrick Garland scelto da Barack Obama, spiegando che il presidente uscente - che pure aveva ancora 10 mesi da trascorrere alla Casa Bianca - non aveva il diritto di fare questa scelta.
"Siamo stati messi in questa posizione di potere e importanza per prendere decisioni per le persone che ci hanno eletto con così tanto orgoglio, la più importante delle quali è stata a lungo considerata la selezione dei giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti. Abbiamo questo obbligo, senza indugio!", ha twittato il presidente rivolgendosi al Partito Repubblicano. Immediatamente dopo la diffusione della notizia della morte di Bader Ginsburg Mitch McConnell, il leader della maggioranza repubblicana al Senato, l'uomo che rifiutò di calendarizzare le audizioni del candidato di Obama nel 2016, si era già detto favorevole a una sostituzione immediata. I democratici sono già insorti chiedendo che la Ginsburg venga sostituita solo dopo le elezioni presidenziali, ma i repubblicani controllano il Senato con 53 seggi su 100.
"Siamo stati messi in questa posizione di potere e importanza per prendere decisioni per le persone che ci hanno eletto con così tanto orgoglio, la più importante delle quali è stata a lungo considerata la selezione dei giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti. Abbiamo questo obbligo, senza indugio!", ha twittato il presidente rivolgendosi al Partito Repubblicano. Immediatamente dopo la diffusione della notizia della morte di Bader Ginsburg Mitch McConnell, il leader della maggioranza repubblicana al Senato, l'uomo che rifiutò di calendarizzare le audizioni del candidato di Obama nel 2016, si era già detto favorevole a una sostituzione immediata. I democratici sono già insorti chiedendo che la Ginsburg venga sostituita solo dopo le elezioni presidenziali, ma i repubblicani controllano il Senato con 53 seggi su 100.
Mike Pompeo attacca il Vaticano: non rinnovi l'accordo con la Cina
Siluro degli Stati Uniti contro il Vaticano per bloccare il rinnovo dell'accordo con la Cina sulla nomina dei vescovi. Il segretario di Stato Usa Mike Pompeo scende in campo e con un tweet attacca Papa Francesco e la Chiesa a pochi giorni dalla visita ufficiale a Roma, prevista il prossimo 29 settembre: "Due anni fa, la Santa Sede ha raggiunto un accordo con il Partito comunista cinese, sperando di aiutare i cattolici cinesi. Ma l'abuso del Pcc sui fedeli è solo peggiorato. Il Vaticano metterebbe a rischio la sua autorità morale, se rinnovasse l'accordo" cinguetta sul profilo istituzionale rimandando a una sua pubblicazione scritta per la rivista First Things, in merito all'accordo sulla nomina dei vescovi. "Se il Partito comunista cinese riuscirà a mettere in ginocchio la Chiesa cattolica e altre comunità religiose, i regimi che disprezzano i diritti umani saranno incoraggiati e il costo della resistenza alla tirannia aumenterà per tutti i coraggiosi credenti religiosi che onorano Dio al di sopra dell'autocrate del giorno", ha aggiunto.
"La Santa Sede - ha proseguito Pompeo - ha una capacità e un dovere unici di focalizzare l'attenzione del mondo sulle violazioni dei diritti umani, in particolare quelle perpetrate da regimi totalitari come quello di Pechino. Alla fine del XX secolo, il potere della testimonianza morale della Chiesa ha contribuito a ispirare coloro che hanno liberato l'Europa centrale e orientale dal comunismo e coloro che hanno sfidato i regimi autocratici e autoritari dell'America Latina e dell'Asia orientale. Lo stesso potere di testimonianza morale dovrebbe essere dispiegato oggi nei confronti del Partito comunista cinese".
Referendum, affluenza oltre il 30% alle 19: pronostici stracciati, ora il risultato è imprevedibile
Chi si aspettava un flop dell’affluenza a causa del coronavirus è rimasto deluso. Nonostante gli allarmi filo-governativi lanciati a reti e giornaloni unificati, gli italiani hanno affrontato il rischio (che tra l’altro è minimo) pur di non mancare all’appuntamento elettorale. Grande interesse soprattutto per l’affluenza del referendum per il taglio dei parlamentari: alle 19 il dato parziale è di 30,3% (7.243 comuni su 7.903, fonte YouTrend) e non è confrontabile con quello del referendum 2016 che sancì la fine di Renzi perché allora si votò soltanto di domenica (alla stessa ora era al 57%). In proiezione non è improbabile che l’affluenza finale si attesti attorno al 60 per cento: un dato molto più alto di quello previsto alla vigilia, dato che secondo i pronostici non avrebbe dovuto superare il 50%. A sorpresa la risposta è stata ottima in tutto il Nord, dove i politologi ritengono che il fronte del No sia più nutrito rispetto al Sud, dove sembra prevalere il Sì. Guardando i dati dell’affluenza, i pronostici della vigilia sul referendum potrebbero essere tutti stracciati: si prevede la vittoria del Sì con almeno il 70% di preferenze, ma più sale la partecipazione e più il No può sperare di recuperare fino al 40%, anche se il ribaltone è praticamente impossibile.
Election day, alle ore 12 affluenza sopra al 12%
Alle ore 12 affluenza al 12,35% ai seggi per votare alle elezioni regionali e al referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Il dato è stato diffuso dal ministero dell'Interno. In particolare, le regioni con l'affuenza maggiore sono il Trentino Alto Adige con il 16,22%, il Veneto con il 15,86%, la Liguria con il 15,37% seguita dalla la Toscana con il 14,73% e dall'Emilia Romagana che si attesat attorno al 14,35%. Il dato relativo all'affluenza alle ore 12 è relativo a 7.188 comuni su 7.903.
Election-day, paura del coronavirus e caos ai seggi: il governo teme l'astensione, Luciana Lamorgese può saltare
Dopo la prova immigrazione, che la vede latitante da quando si è insediata, Luciana Lamorgese è riuscita a fallire anche quella del primo grande appuntamento elettorale organizzato dal suo dicastero. Così ora è pronta per essere rimpiazzata, nel caso in cui il risultato delle urne spinga la maggioranza a sostituire due o tre ministri, il numero massimo che Sergio Mattarella accetterebbe di far cambiare senza passare per una vera e propria crisi di governo. Impossibile quantificare il danno prodotto dalla disorganizzazione del ministero dell'Interno. Al caos nel quale sono stati formati i seggi, che ieri è stato sotto gli occhi di tutti, occorrerà aggiungere infatti, oggi e domani, la "astensione da panico da Covid", fenomeno difficilissimo da quantificare.
La paura nel governo è che riguardi soprattutto gli anziani, gruppo elettorale al quale la sinistra tiene molto, soprattutto in Toscana, dove sta facendo di tutto per portare i pensionati ai seggi, nella certezza che la grande maggioranza di loro rispetterà la tradizione e voterà per Eugenio Giani (le analisi sulle elezioni politiche del 2018 dicono che il 45,8 per cento degli ultra65enni toscani mise la croce sul simbolo del Pd). Intanto la preparazione delle sezioni elettorali è stata molto più difficile di quanto la Lamorgese e il ministro della Salute Roberto Speranza, pure lui coinvolto nelle operazioni, avessero previsto.
E per una volta il disastro è stato uniforme sul territorio nazionale, senza differenze tra Nord e Sud. A Torino si è assistito a una fuga in massa dai seggi: hanno rifiutato l'incarico 506 presidenti su 919 e 1.487 scrutatori su 2.800. Inusuali scene da armata Brancaleone si sono viste a Milano, quando si è scoperto che un centinaio di presidenti di seggio, su un totale di 1.248, mancavano all'appello. Per evitare che la città più avanzata d'Italia fallisse l'appuntamento, il Comune è stato costretto a pubblicare un annuncio "last minute" sui siti internet: «Stiamo cercando presidenti di seggio per il #ReferendumCostituzionale. Puoi candidarti direttamente all'Ufficio elettorale di via Messina 52 fino alle 16». A Roma il Campidoglio ha dovuto "surrogare" 530 presidenti di seggio su 2.600 e solo grazie ai soliti annunci sui social network si è raggiunto il numero minimo di scrutatori necessario a garantire il diritto di voto. Dimenticati dall'esecutivo pure i seggi elettorali negli ospedali lombardi con più di cento posti letto, dove gli uffici della Lamorgese avrebbero dovuto inviare guanti, mascherine e gli altri dispositivi di protezione previsti dai regolamenti.
Ha dovuto provvedere la Regione Lombardia, altrimenti i seggi non avrebbero potuto costituirsi. Le assenze sono state pesanti soprattutto nelle regioni in cui è previsto anche il voto per l'elezione del governatore. È il caso della Liguria e in particolare Genova: pure lì, il Comune ha dovuto ricorrere in extremis alla Rete per rimediare il personale necessario. Nelle ore precedenti alla formazione dei seggi si sono eclissati 855 scrutatori, in aggiunta ai 400 che si erano già dichiarati assenti e a numerosi presidenti. La caccia all'uomo è proseguita sino a sera tarda. Identica situazione a Firenze, dove sono mancati 150 presidenti di seggio su 360, oltre a 750 scrutatori. A Bari hanno marcato visita 244 presidenti su 349 e lo stesso ha fatto il 40% degli scrutatori. Anche nel capoluogo pugliese il reclutamento è andato avanti sino a tardi, e per riempire i ranghi vuoti è stato necessario cooptare i volontari della Protezione civile. Ovunque c'è stata la corsa contro il tempo e il ricorso a personale inesperto. A Napoli sono stati 250 i presidenti che hanno rinunciato all'incarico negli 884 seggi del Comune, ad Ascoli Piceno non se ne sono visti 30 su 54 e così via.
Pochissime le eccezioni. rassicurazioni tardive Il grande errore del governo è stata la presunzione di usare per il voto di oggi e domani la "ricetta" normale, con l'aggiunta delle mascherine e di un po' di gel, peraltro distribuiti male. Senza capire la situazione e ignorando l'effetto umano, ovvero i timori di chi dovrà prestare servizio nei seggi e di chi dovrà votare. I compensi per i primi sono rimasti invariati: 130 euro per i presidenti, 104 per segretari e scrutatori, che aumentano di poco se oltre al referendum si vota per la Regione o il Comune. A conti fatti, nulla che invogli a mettere in gioco la salute. Anche perché chi ha un minimo di esperienza, come gran parte dei presidenti di seggio, già aveva intuito che ci sarebbero stati problemi (bastava leggere le tre sconcertanti paginette del Protocollo sanitario pubblicato ad agosto da Lamorgese e Speranza in vista del voto per capire il livello d'improvvisazione).
E se il personale dei seggi non si sente protetto dal contagio e diserta l'appuntamento, il pericolo che gli elettori facciano lo stesso è alto. Così ora Giuseppe Conte e i suoi sono terrorizzati da un'astensione da record. Prova a spargere tranquillità il grillino Pierpaolo Sileri, viceministro della Sanità: «Leggo di difficoltà nel reclutamento degli scrutatori e timori per le attività di voto presso i seggi. Con i ministeri dell'Interno e della Salute è stato fatto un lavoro attento e scrupoloso per rendere questo voto sicuro. Dal punto di vista sanitario non ci sono rischi, andate a votare». Ma arriva tardi, quando i buoi sono scappati. Una partecipazione al voto bassissima sarebbe una sconfitta per il governo e potrebbe influire sull'esito di alcune contese, in particolare quelle che si giocheranno sul filo di lana, come promette di essere la corsa a governatore della Toscana. E nel caso lì finisca male per il candidato del Pd, Nicola Zingaretti e compagni troverebbero nella Lamorgese un primo, comodo capro espiatorio. riproduzione riservata.
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Bellanova sfida Salvini e posta la foto su un trattore. Pioggia di commenti: ecco brava, vai a zappare…
Noi siamo quelli del trattore, non delle ruspe. “Lavoriamo la terra non per distruggere, ma per seminare”. Questa la didascalia scelta da Teresa Bellanova. La ministra dell’Agricoltura ha infatti deciso di condividere coi suoi follower di Twitter una foto che la immortala sorridente a bordo di un trattore. La Bellanova era in visita presso l’azienda “Mare vivo” a Castro, in Salento.
Gli utenti Twitter si scatenano
Gli utenti Twitter si sono scatenati: “Ecco brava, vai a zappare la terra”. “Gentile signora Bellanova ,le “ruspe”alle quale lei fa riferimento, distruggono il malaffare,i trattori sono spesso utilizzati per sfruttare i lavoratori”. “Omiodio …ma cosa state seminando ? Povertà e disperazione e sfruttamento io non so come fate a guardarvi allo specchio alla mattina.. chi usa davvero quel trattore ormai non riesce a mantenere la famiglia .. avete finito la presa in giro o continuate ancora molto?”.
L’attacco di Salvini: ministra “indegna”
Un altro fa notare: “Oltretutto non ha la minima idea di cosa sia un trattore perché quello lì non si può usare nei campi gli manca la gabbia protettiva antiribaltamento, come sempre solo figure penose sapete fare”. E infine: Ma non se le vada a cercare. Lasci perdere con queste banalità. Piuttosto ci dica in anni di sindacato cosa ha ottenuto per quel sud ancora miseramente nelle mani di caporalato e lavoratori in nero. Fatti non selfie…”.
Sparatoria a Roma. Bandito ucciso e carabiniere ferito, il momento dei soccorsi
Gli operatori del 118 arrivano in via Paolo Di Dono, a Roma, nel quartiere Serafico, vicino all'Eur, dove c'è stata da poco una sparatoria. Un bandito è rimasto ucciso, un carabiniere è stato ferito a un fianco da un'arma da taglio. L'uomo colpito dallo sparo è morto poco dopo. Inutili i soccorsi. Pare che i malviventi fossero due. Uno è riuscito a fuggire. Stavano cercando di entrare a notte fonda in un edificio dove si trovano degli uffici.
Il Veneto riapre gli stadi fino a 1000 spettatori. Scontro tra la lega di serie A e il ministro Spadafora
Fa discutere la riapertura parziale degli stadi decisa dall’Emilia Romagna e dal Veneto. Sullo sfondo lo scontro tra la Lega di serie A e il ministero dello Sport. La regione guidata da Luca Zaia con un’ordinanza ha dato il via libera alla presenza di massimo 1.000 persone negli impianti sportivi all’aperto. E 700 in quelli al chiuso. Un esperimento, in massima sicurezza, valevole fino al 3 ottobre prossimo.
Il Veneto riapre gli stadi fino a 1000 persone
I tifosi – si legge nell’ordinanza – “hanno l’obbligo di occupare per tutta la durata dell’evento esclusivamente i posti a sedere assegnati. Con divieto di collocazione in piedi e di spostamento di posto. Assicurando tra ogni spettatore seduto una distanza minima laterale e longitudinale di almeno un metro”. Inoltre il pubblico dovrà indossare la mascherina per tutta la durata dell’evento, se al chiuso. All’aperto, invece, va indossata dall’ingresso fino al raggiungimento del posto e ogni volta ci si allontani. Nel documento firmato da Zaia viene indicato l’utilizzo di tecnologie digitali per automatizzare l’organizzazione degli ingressi con un servizio di steward per far rispettare le misure.
Sileri: il ritorno dei tifosi è auspicabile
In Emilia Romagna il governatore Stefano Bonaccini ha dato l’ok al pubblico (fino a mille persone) a Parma e a Reggio Emilia per le due partite di serie A in programma domenica. E al Gran Premio di Formula 1 a Imola fino a 13.147 persone. Il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri plaude all’iniziativa. “E’ auspicabile un ritorno dei tifosi allo stadio. Ovviamente con misure che consentono la sicurezza. Anche a me fa male vedere gli stadi vuoti. E’ vero che abbiamo un aumento dei casi ma è tutto sotto controllo al momento. Non vedo perché non si possano aprire gli stadi”. Matteo Salvini è entusiasta della mossa di Zaia. “Bene l’ordinanza della Regione Veneto. Viva lo sport e il tifo prudente ma presente!”.
Zingaretti senza memoria dà lezioni di legalità
Penoso, non c’è altro da aggiungere. Quando Nicola Zingaretti conclude la fatica elettorale a Macerata per le regionali che perderà anche nelle Marche, è visibilmente stanco. La memoria non lo assiste e se ne esce così sulle inchieste riguardanti la Lega: “La legalità non va più tanto di moda da quelle parti”.
Ora, a parte il fatto che chi era abituato a deliziose conversazioni con Luca Palamara farebbe bene ad astenersi da certi commenti, il segretario del Pd dimentica evidentemente, in trasferta, di essere anche governatore del Lazio.
Si è dimenticato le mascherine perdute a suon di una dozzina e passa di milioni di euro? Lo sa che legalità vuol dire anche amministrare il denaro pubblico senza perderlo di vista? E ancora: finge di non sapere che il suo assessore alla sanità deve restituire – per una condanna – 275mila euro su ordine della Corte dei Conti ma lui Alessio D’Amato non lo tocca?
Zingaretti ha pure dimenticato i novanta milioni di euro che la magistratura contabile pretende per il Palazzo della Provincia di Roma su cui prima o poi bisognerà dire una parola definitiva?
C’è un film accusato di sdoganare la pedofilia ma sui social si fa la crociata contro il film di Vanzina
“Non ho mai venduto la mia funzione, né a Lotti, né a Centofanti, né a nessuno” giura Luca Palamara facendo un’accorata autodifesa di fronte all’assemblea dell’Associazione nazionale magistrati“. Che dovrà esprimersi sul suo ricorso contro l’espulsione. E che, alla fine, forse anche per evitare uno scontro frontale che non farebbe bene a nessuno, cede alla sua richiesta di illustrare personalmente le ragioni del suo ricorso contro l’espulsione decisa dal Comitato Direttivo Centrale il 20 giugno scorso.
“I fatti disvelati dall’indagine di Perugia, l’emergere, pochi mesi fa, di altri gravi episodi hanno provocato conseguenze drammatiche per il sistema, ed innescato una crisi profonda, i cui effetti non sono del tutto prevedibili, oltre alla già percepibile, gravissima perdita di credibilità del nostro ruolo, con ciò che esso significa nel rapporto tra giustizia e cittadini“, aveva ammesso poco prima il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Poniz, in uno dei passaggi della sua relazione all’assemblea generale. Una crisi, aveva cercato di distribuire le colpe Poniz, che “non riguarda solo il nostro assetto, il nostro ordinamento. È anche una crisi di funzionamento. E la fiducia che i cittadini nutrono nei nostri confronti è drammaticamente precipitata. La fiducia è un elemento essenziale di legittimazione della funzione giurisdizionale”.
Vergogna Conte, non andava in Lombardia per paura del Covid
Un premier che si dovrebbe vergognare. Dal Corriere della Sera di oggi, nell’articolo di Francesco Verderami, un particolare davvero disgustoso sulla personalità del presidente del Consiglio. In Lombardia la gente moriva a grappoli. Lui si presentò a Bergamo di notte. E andava di corsa. Il perché lo scopriamo solo oggi. “Il presidente della Lombardia Fontana chiese al presidente del consiglio di testimoniare la vicinanza dell’esecutivo con una sua visita, e si sentì inizialmente rispondere: ‘Vediamo, se poi mi ammalo come si fa?’”.
Che vergogna, che pena, se stesso prima di tutti. E se ti ammali ti curi, caro Conte, esattamente come capitò e capita a tutti gli italiani colpiti dal coronavirus. Un atteggiamento davvero deprimente, egoista, che denota di che pasta sia fatto l’uomo che oggi sta a Palazzo Chigi senza un solo voto popolare. Abbiamo chiesto conferma della frase pubblicata dal Corriere anche ad ambienti vicini al governatore lombardo. “Direi di sì”, ci dice uno stretto collaboratore di Fontana alla domanda se il premier possa aver mai pronunciato una frase del genere. “E se mi ammalo?”. Scusate se vomito.
Mascherine, altro scivolone di Zingaretti. Le ha comprate da una ditta in mano ai clan
Sul caso mascherine Nicola Zingaretti ne combina un'altra. Secondo il quotidiano Domani, in edicola oggi sabato 19 settembre, ci sarebbe l’ombra dei clan sulle gare dell'ormai famigerato acquisto dei dispositivi di sicurezza per il Lazio. I riflettori dell'inchiesta sono puntati sui funzionari del presidente della Regione che hanno firmato un contratto da 27 milioni con una ditta di Taranto, la Internazionale Biolife: per gli investigatori antimafia che indagano sul caso "tra i soci ci sono personaggi legati alla camorra e a cosa nostra".
"All’azienda sarebbero dovuti andare 27 milioni per la consegna di 6 milioni di mascherine e quasi 2 milioni tra camici e tute. Sono arrivate solo le prime, ma la ditta di Taranto aveva già incassato dalla regione 4,9 milioni" si legge su Domani. "Abbiamo fatto ingiunzione di pagamento" ha dichiarato il titolare della società, che poi ha aggiunto: "Ora l’azienda è vergine, pulita come un fiore".
L'accordo tra il Lazio e l'azienda di Taranto risale a fine marzo, ma la mancata consegna di buona pare del materiale ordinato ha fatto scattare la battaglia legale. La Regione ha deciso di rescindere il contratto pur avendo versato il sostanzioso acconto alla società. Ma a preoccupare maggiormente ora è lo spessore criminale della ditta.
Massimo Giletti, durissimo attacco dell'ex Pd Claudio Fava: "Che tristezza vedere le foto col giubbino antiproiettile"
"Penso alla tristezza infinita di queste immagini. Penso ai cento che sono caduti in questi anni senza aver mai (mai!) nemmeno immaginato di indossare un giubbotto antiproiettile per il senso di sobrietà che animava ogni loro gesto e penso alla miseria di un Paese in cui l'esibizione della vita ha preso il posto della vita reale", Parla così Claudio Fava contro Massimo Giletti dopo la sua passeggiata in gilet antiproiettile a Roma. Fava, che è il presidente regionale della Commissione Antimafia siciliana. attacca il conduttore di Non è l'arena, presto in onda su La7, su Facebook,
"Da oggi all'antimafia da talk-show e fanfare dobbiamo aggiungere quella da giubbotto antiproiettile", conclude Fava. Giletti da fine luglio vive infatti sotto scorta. Lo ha deciso due mesi fa la Prefettura di Roma a seguito di alcune minacce del boss Filippo Graviano, intercettato in carcere, rivolte a Giletti nei giorni seguenti alle polemiche di Non è l'Arena sui giudici di sorveglianza che avevano disposto i domiciliari per alcuni boss causa rischio Covid.
Giuseppe Conte, retroscena: "Se poi mi ammalo, come si fa?". In lockdown, il rifiuto ad Attilio Fontana: niente visita in Lombardia
Giuseppe Conte è al centro di un clamoroso retroscena risalente al periodo dell’emergenza coronavirus e in particolare del lockdown. A svelarlo è Francesco Verderami, che sul Corriere della Sera scrive che il premier lavora solo per sé e non gradisce esporsi a favore degli alleati di governo o di chicchessia. In seno all’esecutivo citano un aneddoto del momento più grave della pandemia: allora il governatore Attilio Fontana chiese a Conte di testimoniare la vicinanza dell’esecutivo con una sua visita in Lombardia. La risposta dell’inquilino di Palazzo Chigi? È stata la seguente: “Vediamo… Sai, se poi mi ammalo, come si fa?”.
Luigi Di Maio è stato il primo a certificare l’egocentrismo del premier, per questo nei colloqui con gli alleati non gli è sfuggito il tema del governo, che a suo avviso avrebbe bisogno di un maggior tasso politico o di un maggior tasso di competenza tecnica, in vista di una fase delicata quanto cruciale, dato che andranno presentati i piani per utilizzare i miliardi del Recovery Fund. Finora Conte ha tratto la sua forza dalla debolezza dei partiti che lo sorreggono, ma adesso il punto secondo Verderami è che M5s e Pd non sembrano riuscire più a reggersi e potrebbero trascinare giù anche il premier.
Augusto Minzolini demolisce Marco Travaglio: "Non fa comodo gettare mer***". Reddito di cittadinanza ai balordi di Colleferro, vergogna sul "Fatto"
Con Marco Travaglio, Augusto Minzolini ha da tempo un conto aperto. Anche in tribunale, con il primo che ha recentemente querelato il secondo. Ma qui si parla di altro. Si parla di quanto scritto dal Minzo in un retroscena pubblicato sul Giornale di sabato 19 settembre, in cui punta il dito contro il direttore del Fatto Quotidiano, accusato di fatto di aver nascosto la notizia del reddito di cittadinanza percepito dalle famiglie dei balordi di Colleferro arrestati per il brutale omicidio di Willy Monteiro.
Scrive Minzolini: "È diventato difficile anche prendere sul serio il network giustizialista, specie ora che è diventato custode dell'ortodossia di questo governo. Marco Travaglio, ad esempio, contagiato dai timori elettorali, ieri, si è proposto come un novello Indro Montanelli e ha chiesto agli elettori grillini di turarsi il naso e votare i candidati Pd. Contemporaneamente il suo giornale, il Fatto - prosegue Minzolini -, da un lato continua per l'ennesima volta a mettere in prima pagina, dando voce al solito solo alle congetture dei Pm, la vicenda dei commercialisti della Lega; dall'altro relega in decima pagina prendendo per buona la versione dell'avvocato della difesa - una novità assoluta da quelle parti - la storia dei fratelli di Colleferro che hanno picchiato a morte il povero Willy, accusati di aver beneficiato, attraverso le loro famiglie, del reddito di cittadinanza. Motivo? Non fa comodo alla vigilia del voto gettare mer*** sulla madre di tutte le battaglie grilline", conclude tagliente Minzolini.
Piano Recovery Fund, la figuraccia di Conte coi dati del Pil
Nel documento si parla dell'obiettivo di raddoppiare la crescita economica: da un +0,8% di media registrato nell'ultimo decennio fino al + 1,6% della media europea: peccato che il dato nazionale sia quattro volte inferiore
Anche se si è trattato di un errore in buona fede, o meglio "un mero errore materiale", come definito successivamente da non specificate fonti vicine al governo (pure se un errore così marchiano con tutto lo staff dietro a sudare, reperire e correggere i numeri necessari per permettergli di andare davanti alle telecamere senza essere totalmente sprovveduto, quantomeno in apparenza), Giuseppe Conte questa volta l'ha sparata davvero grossa.
A cogliere in fallo l'esecutivo, quando sono stati esplicati dinanzi alle Camere i punti sui quali dovrebbe articolarsi il cosiddetto Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr), che segue le linee guida del Recovery fund tracciate da Giuseppe Conte, è Mario Giordano in un articolo pubblicato sul quotidiano "La Verità".
"Se le Camere lo riterranno opportuno, il governo è disponibile a riferire sulle linee essenziali del documento, sia nelle sedi decentrate delle commissioni sia nella sede plenaria dell'assemblea", aveva comunicato il premier in una lettera, come riportato da Repubblica. "In ciascuno dei passaggi, nello spirito di massima collaborazione e sinergia tra governo e Parlamento, sarà assicurato il pieno coinvolgimento delle Camere al fine di recepire indirizzi, valutazioni e proposte concrete di intervento. L'attuale fase programmatoria rappresenta uno snodo strategico, una occasione storica irrinunciabile per il successo della azione economica e per le prospettive di crescita e di modernizzazione dell'Italia", aveva aggiunto ancora. "Certamente la sfida che ci attende è estremamente complessa e necessita del dispiegamento delle migliori energie e competenze del Paese nonché del costante dialogo e collaborazione tra le Istituzioni".
Sbaglia tutto sul Forlanini. La Lega spiana Zingaretti
Zingaretti sbaglia tutto sul Forlanini. L'affondo viene da Laura Corrotti, consigliere regionale della Lega. Sul sito 7Colli la Corrotti spiga come "la proposta del presidente Zingaretti di ospitare al Forlanini la sede dell’Agenzia europea per la Ricerca Biomedica e per la gestione delle crisi sanitarie è l’ennesimo colpo di teatro per non parlare della riapertura dell’Ospedale".
Il recupero del Forlanini, infatti, passa attraverso la sua riapertura ai cittadini del Lazio. Evitando proposte parziali che non affrontano seriamente la questione Forlanini. "Insomma, nel Lazio grazie a Zingaretti si continua a non pensare a ricostruire la sanità pubblica, come se la lezione del Covid-19 non fosse bastata - scrive Laura Corrotti - Ospitare a Roma Agenzie come quella per la Ricerca Biomedica e per la gestione delle crisi sanitarie è sicuramente un passo in avanti nel percorso di crescita della Capitale. Ma sarebbe opportuno inserirla in una delle tante strutture sparse per la città anziché togliere, una volta per tutte, il futuro all’Ospedale Forlanini".
Caos Procure, ricorso bocciato: Luca Palamara espulso dall'Anm
Cacciato via dall'Anm. Diventa definitiva l'espulsione per gravi violazioni del codice etico di Luca Palamara dall'Associazione nazionale magistrati, di cui è stato presidente negli anni dello scontro più duro con il governo Berlusconi.L`assemblea generale degli iscritti al sindacato delle toghe, riunita a ranghi ridottissimi (un centinaio i presenti a fronte di 7mila soci) ha confermato il provvedimento del 20 giugno scorso del Comitato direttivo centrale dell'Anm, bocciando il ricorso del pm romano sospeso dalle funzioni e dallo stipendio e imputato a Perugia per corruzione. Solo 1 voto a favore del ricorso.
L'Azzolina vuole ispezionare la minigonna. Non è ora di mandare a lei l'ispezione?
Alla rocambolesca riapertura della scuola mancava solo il caso “minigonna” scoppiato ieri in un liceo di Roma, il Socrate. L'ha innescato la vicepreside che avrebbe raccomandato alle ragazze di non venire a scuola in abiti succinti e gambe scoperte perché altrimenti ai professori “cade l'occhio” e così non riescono a fare lezione.
Frase infelice, che ha provocato la reazione delle studentesse e dei loro compagni che in risposta d'ora in avanti adotteranno la minigonna come divisa: i maschietti sono alla disperata ricerca di kilt scozzesi. L'ondata puritana ha travolto i social dove la vicepreside è stata linciata, e più di lei il presunto occhio malandrino dei professori. Ma c'è anche chi se l'è presa con le minigonne sostenendo che a scuola si deve andare vestiti in modo “appropriato”.
Il dibattito ha infiammato anche la politica nell'ultimo giorno di campagna elettorale e ha dato una sponda fantastica alla ministra Lucia Azzolina che - non avendo altro a cui pensare - si è vestita da giustiziera inviando una ispezione in quel liceo. È soprattutto questo l'errore compiuto dalla vicepreside: avere dato una straordinaria arma di distrazione di massa per non fare cascare l'occhio - questo sì - sulle condizioni in cui è stato costretto a riaprire anche il liceo Socrate, come troppe scuole italiane. Non sono arrivati i banchi dell'ineffabile Domenico Arcuri, e gli studenti ascoltano le lezioni sulla sedia. Mancano professori e bidelli e in queste condizioni a scuola si apprende meno di quel che avveniva a distanza durante il lockdown. Si è riaperto in aule dove ci saranno almeno 40 gradi all'ombra e con l'obbligo di mascherina, ed è già tanto che così gli alunni non vengano in costume come sarebbe naturale.
Rocco Casalino, fuori tutte le cifre: il suo stipendio più alto di quello di Giuseppe Conte
Rocca Casalino, visto il suo ingente stipendio, può essere considerato l'uomo più invidiato d'Italia. L'ex gieffino oggi portavoce di Giuseppe Conte vanta infatti una busta paga più pesante di quella del premier. Secondo Termometro politico, in base ai compensi dei collaboratori resi noti da Palazzo Chigi, Casalino guadagna 169.556,86 euro all’anno. Nel dettaglio allo stipendio base del capo comunicazione, che dovrebbe essere di 91.696,86 euro, vanno aggiunti 59.500 euro di accessori e 18.360 euro di indennità. Insomma, Casalino - a conti fatti e divulgati dal sito di Dagospia - risulterebbe essere più pagato di un parlamentare e di un presidente del Consiglio.
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